Conosco Mats Aberg da diversi anni e solo da non molto ho scoperto, a mie piacevoli spese, che è un finissimo osservatore. E’ silenzioso, discreto ma dotato di un occhio analiticamente implacabile ancorché sempre sereno. Credo sia la sua attitudine verso la vita che nasce scorre, si inceppa e continua a fluire. Sarebbe banale dire che ”cattura brani di realtà”: semplicemente fissa lacerti compiuti di situazioni viste, vissute immaginate, amate. Il punto di partenza per lui, artista assolutamente ”classico” è il disegno dapprima corteggiato, abbozzato, abbandonato; poi se il destino decide così, ripreso e sviluppato. Il divenire del disegno che in alcuni casi è il primo e imprescindibile passo verso l’opera plastica compiuta è ben chiaro sfogliando o meglio analizzando i taccuini di disegni. Il dialogo con il foglio la matita o penna su un soggetto spesso è ininterrotto, l’abbandono è solo apparente. A volte vi è tormento a volte soluzione. La genesi artistica di Mats Aberg nasce dalla pittura; un linguaggio solo in parte abbandonato per la scultura poiché come egli ammette < io penso sempre in termini pittorici, nel senso dell’impostazione compositiva che prevede sempre uno sfondo su cui creare le immagini> . Ho pensato in questo senso ad un’impostazione definibile come teatrale, nel senso più semplice del termine; un impianto , uno spazio ( le pareti stesse del suo studio) che contengono figure ”a tutto tondo”. L’artista non ci impone un suo punto di vista; ci impone come tutti gli artisti del resto, il suo stile. Importante poi il rapporto con la committenza solo nei riguardi della destinazione dell’opera che da ciò che ho potuto vedere non cerca una dissonanza protagonistica con l’ambiente ma al contrario vi si inserisce con discrezione indipendentemente dalle dimensioni più o meno imponenti dell’allestimento. Interessante in questo senso sarebbe indagare il rapporto del suo lavoro plastico con il paesaggio e l’architettura e la sua risoluzione ”pittorica”. Mats Aberg è fortunatamente un artista sapiente che non delega e non vuole delegare; l’opera è interamente, carnalmente sua. Conosce perfettamente la materia, le sue problematiche, i suoi capricci, possiede pienamente la sua Techné. Accetta la sfida e l’imprevisto del processo della fusione. Ama quelli che sono stati i suoi maestri, li ha ascoltati e non li rinnega. Ha amato la ”bottega”. Per queste caratteristiche amo pensarlo- con la retorica che mi distingue in quanto meridionale- come un uomo del Rinascimento; quando glielo dico Mats non risponde e si limita a sorridere cortesemente....... E’ un artista che lavora lentamente e con questo gli porgo un ulteriore complimento poiché ha un rapporto assolutamente equilibrato e non ansiogeno col tempo che gli consente un’attenzione continua, sicuramente faticosa. Ama la lentezza del divenire dell’opera ma la stessa lentezza è per lui, rigoroso nelle sue scelte, anche un metodo che gli consente una grande riflessione intellettuale che nulla ha a che fare con molte attuali pretestuose intellettualizzazioni del ” fare arte”. Una lentezza quasi anarchica, controcorrente ma necessaria, come a volte il dolore. <Non fare mai niente, succede sempre qualcosa> si diceva e si dice in alcune filosofie orientali debitamente saccheggiate dalla nostra cultura; forse è così. Noi, vivendo oscilliamo tra uno stato di consapevolezza e inconsapevolezza verso ciò che facciamo, come respirare del resto. Veniamo sopraffatti da automatismi che letteralmente ingoiano gran parte del tempo che ci è dato. Mats si sofferma, senza nessuna enfasi su qualcosa perché < qualsiasi cosa noi facciamo è un simbolo, non so dire di cosa, ma per me è così, qualunque cosa vedi, come io la vedo è un simbolo> C’è senz’altro in questo un suggerimento, un tentativo di capire, quasi una carezza. La retorica dell’immagine e dello stile che Aberg bandisce non farebbe che togliere il senso-qualunque esso sia- delle cose che avvengono, che afferriamo, che perdiamo, che attraversiamo. E come se Mats, attraverso le sue sculture ci obbligasse ad una pausa contemplativa del mistero della vita. Così semplicemente, in silenzio e con lentezza e sacralità. Un lavoro consapevole, insomma un dono.
Raffaella Citterio