Questa mostra parla un complesso ma comprensibile linguaggio arcaico, che scalfisce la solidità della materia che si vede e si tocca e, dall’essenziale, giunge quasi all’assoluto. Statiche e monolitiche, ma sospese e speculari, cosi sono le scultore esposte dal bergamasco Giancarlo Defendi e dallo svedese Mats Åberg.
L’uno coltiva radici classiche di età arcaica nel proprio retroterra culturale, muovendosi in una dimensione al contempo mitica e sacra, senza dimenticare la tradizione bergamasca, nell’arte del modellare e in alcuni rimandi novecenteschi. L’altro risponde – in questo dialogo espositivo sul filo di affinità stilistiche - nella sua lingua madre, tessendo racconti di vita e letteratura propri di una tradizione inequivocabilmente nordeuropea.
L’uomo senza spaziotempo di Defendi, nato gia vissuto in una dimensione ancestrale-simbolico-universale, si lascia consumare dal tempo e resta sospeso fra immanente e trascendente, sull’alto di imponenti “troni” come sulla cima di antiche e lineari stele. In questa mostra egli riannoda il dialogo con l’uomo contemporaneo di Aberg, in parte figlio di Ibsen e in parte di Andersen, sospeso nella ricerca di se stesso, della sua essenza riflessa in uno specchio d’acqua come nello scorrere scandito e simmetrico di una composizione di figure in uno spazio interiore.
Insieme, narrano la storia dell’uomo tornando alle origini dell’arte stessa e scandagliando la natura umana. Nelle opere di Aberg, tra dialoghi lontani e simboliche figure colte in attesa, emergono e ritratti in rilievo: in quelle di Defendi, mentre siedono vicini guerrieri e amanti e scalpitano centauri, cavalli e tori, l’uomo si fa spazio nella materia.
Critico d’arte Elisabetta Calcaterra